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La società siamo noi

noi la storia e la nostra cultura

una cultura senza comparti né livelli

che o c'è o non c'è 

 

Annotazioni storiche e sociali

"Da qui gli Etruschi..."

 

La "Tabula Peutingeriana"

o "Codex Vindobonensis

Approfondimento

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Luciano Russo

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Le radici etrusche

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

della strada romana

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Classica strada romana, cosiddetta "munita", cioè lastricata con pietre, una di una rete

tanto estesa quanto capillare, testimonianza della capacità organizzativa ed operativa

degli ingegneri romani, oltre 300 mila chilometri di cui 80 mila strade secondarie, quasi

400 "autostrade" dell'epoca a connettere 3 continenti, dalla Britannia alla Mesopotamia,

dall'Atlantico al Mar Rosso, fino alle sabbie del Sahara, anche se Romani non sono i

primi  a costruire grandi strade, lo fanno gli Egizi, i Persiani e gli Etruschi, la vera novità 

sono tecniche innovative di pianificazione, costruzione e organizzazione standardizzate

per permettere di realizzare un "sistema stradale" globale, la sua organicità e capillarità

a coprire il vastissimo territorio dell'Impero, un sempre crescente cursus publicus, alla

lettera "servizio di posta" che assicura soprattutto scambi di comunicazione - ordini

da Roma e rapporti a Roma - all'interno dell'intero Impero, nella maggior parte dei casi

creato via via dagli stessi legionari per rapidi spostamenti di eserciti di occupazione,

una volta raggiunti e consolidati gli obiettivi politico-militari aprendosi anche a scopi

commerciali e personali di chiunque, senza esclusioni, privilegi né pedaggi, di fatto con

agli acquedotti una delle più importanti e monumentali documentazioni storiche di una

"romanità" che proprio del tutto romana quindi non è

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Come moltissimo altro, in realtà quasi tutto, i Romani ereditano

l'arte di costruire le strade dagli Etruschi, migliorandola nelle

tecniche e nei materiali, anche sotto l'influsso di altre culture, e

standardizzandola nel metodo in tutto l'Impero, Etruschi che a

loro volta innestano la loro capacità innovativa su precedenti

millenarie abilità, conoscenze e saperi.

 

 

Il clima in Europa si stabilizza fra il III e II millennio aC, con

oscillazioni termiche non più estreme, ma piuttosto simili alle

attuali, instaurandosi così il clima "neotermale", cioè "temperato

umido atlantico" determinato dall'anticiclone delle Azzorre.

 

La subpolare "tundra" - dal Lappone tunturia, cioè "pianura senza

alberi", tipica di regioni con temperature medie annuali sotto lo

zero - viene rapidamente sostituita da rigogliose "foreste" di alberi

ad alto fusto ed estese "praterie" di graminacee - piante spontanee

che nella Regione Mediterranea vanno praticamente ad occupare

tutti i tipi di habitat a tutte le latitudini ed altitudini - tra le quali di

fondamentale importanza i cosiddetti cereali, la cui coltura

rivoluzierà la storia e l'economia umana, creando i presupposti

per lo sviluppo delle prime società civilizzate.

 

 

Queste cruciali mutazioni dalla Preistoria alla Protostoria

precedono la "Civiltà del Ferro" europea del 1000 aC e dell'"Età

Storica" del 500 aC circa, transizione in cui convivono grandi

culture di cui alcune non si testimoniano con la scrittura, come i

Celti, mentre altre, che pur si de-scrivono riccamente, verranno

cancellate dalla storia, come gli Etruschi ad opera dei falsificanti

predatori Romani prima e della loro degna erede "Chiesa

Romana", altrettanto se non ancor più ladra e manipolatrice, poi.

 

È per questo motivo e non altri che nei nostri libri di storia

impregnati di imperialismo, tanto pagano quanto cristiano, il

convenzionale inizio dell'"Età Storica" italica viene segnato dalla

Civiltà Romana, escludendo arbitrariamente sia quella Celtica che

l'Etrusca, lasciate di proposito e a torto in una ambigua sfumatura

tra Protostoria e Storia, attribuendo ai Romani tra l'altro

tecnologie e tecniche che, storicamente documentato, vanno a

pieno titolo restituite ai legittimi proprietari, cioè ai Celti e agli

Etruschi, i quali meritano di essere titolati "inventori delle

moderne strade", anche se i Romani ne miglioreranno sotto molti

aspetti i metodi e le utilizzeranno su così larga scala da farne

nell'immaginario e nella memoria collettivi il proprio "simbolo".

 

 

Nella realtà storica sono proprio i protagonisti indiscussi dell'"Età

Protostorica" a plasmare quel "Mondo Mediterraneo" di cui poi i

Romani saranno di fatto frutto ancor prima che eredi ed evolutori!

 

Semplicemente perché è il ferro a generare quella rivoluzione

tecnologica capace di cambiare di nuovo il corso della storia e la

Protostoria ne è la grande epoca del "commercio":

sono infatti i commercianti quegli "innovatori" che, pur agli inizi

di una cultura "inferiore", riescono a spodestare i fino ad allora

dominanti Imperi Orientali, sostituendoli con nuove Potenze

Occidentali del ferro, da cui le fiorenti "Civiltà Marittime" Greca,

Fenicia ed Etrusca, in breve tempo ricchissime senza dover

ricorrere alle solite, rozze politiche imperialiste.

 

 

Sostituita la "Civiltà Agricolo-Pastorale", come la Latina, con la

"Civiltà Commerciale", l'Etrusca, il concetto di "spostamento" si

evolve in quello di "viaggio" a migliorare vecchi "percorsi" e

pianificarne dei nuovi, per terra e per mare, con inediti criteri,

logiche e tecniche, che portano alla costruzione di vie come alla

creazione di rotte.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

I "tracciati" italici 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Nel "Nomadismo" come nella prima "Civiltà Pastorale" un

percorso di tipo "tratturo" - erboso, pietroso o in terra battuta che

sia - è sempre a fondo naturale e si crea passivamente col

calpestio degli animali al loro passaggio, servendo

esclusivamente allo spostamento, nel primo caso spontaneo e nel

secondo pilotato, di mandrie, armenti e greggi - su territori anche

molto vasti, ma senza altra esigenza che la pura assenza di

ostacoli naturali invalicabili, i quali vengono ovviamente evitati

raggirandoli, o per istinto, quando gli umani si spostano al

seguito degli animali, o per scelta pianificata, quando sono gli

umani a decidere e guidare gli animali.

 

 

Nella "Civiltà Agricola", basata su un'economia locale, nulla

cambia, tranne che i percorsi diventano molto più corti e che gli

agricoltori iniziano a migliorarne sporadicamente il fondo in modo

da potervi più facilmente trasportare granaglie e altri prodotti

agricolo-boschivi da campagne e boschi circostanti al villaggio, o

ad opera dell'umano stesso, a spalla in gerle, o a dorso d'animale,

in covoni e fascine.

 

In un territorio così circoscritto limitrofo al villaggio il concetto

di "percorso" rimane a quello del "sentiero" o della "mulattiera",

a seconda della morfologia del terreno, dato che non esistono

stimoli da necessità di evolverlo e soddisfa anche le limitate

esigenze di un primitivo scambio di prodotti, della terra o

manufatti che siano, tra villaggi adiacenti in una zona comunque

sempre geograficamente molto limitata, come una pianura, un

altopiano o una valle.





È con l'ingresso prepotente del ferro nella vita sociale degli umani

che lo stimolo ad adeguare i percorsi naturali arriva impellente e

lo fa per la necessità di trasportare frequentemente e regolarmente

grandi quantità di carichi molto pesanti su tragitti creati anche ad

hoc.

 

Asini e muli non bastano più e per i nuovi trasporti si passa

quindi ai carri, non singoli ma "carovane" di carri, meglio

difendibili ma dai costi elevati, lunghe carovane che scambiano il

ferro con altre carovane o navi a loro volta cariche di merci di

corrispondente valore - vino, olio, ceramiche, monili:

inizia il grande commercio e la storia cambia corso.

 

 

La prima fase dell'"Età del Ferro" italica è lenta, a macchia di

leopardo, in aree di colonizzatori indoeuropei prima e tribù

celtiche poi, le cui attività locali di metallurgia del bronzo si

limitano al proprio uso e consumo, ma la crescente diffusione del

ferro, l'apprezzamento delle sue incomparabili qualità e il

commercio che se ne sviluppa provocano drastici sconvolgimenti

a questo mondo idilliaco.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il commercio del ferro

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il commercio nuovo metallo crea due tipi di "trafficanti" -

carovanieri, via terra, e navigatori, via mare.

 

 

I primi utilizzano antichi itinerari di transumanza, al sicuro sulle

alture, lungo i crinali dei monti, solo al bisogno passando da uno

all'altro nei fondovalle, costretti così a viaggi lunghissimi

attraverso guadi e valichi in territori di tribù e popolazioni diverse.

 

Questi mercanti, organizzati in lunghe file di animali da soma

stracarichi con scorte armate, non possono usare carri e quindi

non costruiscono strade perché non hanno bisogno di fondi

stradali più solidi di quelli dei naturali tratturi, hanno bisogno

però di ripari per sostare la notte, come i castellieri di pietre

costruiti a secco dai pastori della transumanza, nelle vicinanze di

sorgenti e con possibilità di pastura o foraggio, facilmente

difendibili sui picchi:

dai tratturi si evolvono quindi le prime antiche cosiddette "vie

carovaniere".

 

 

I secondi navigano sotto costa e risalgono i fiumi dalla foce fin

dove sono navigabili, seguendo sempre vie naturali di fondo valle

ma al sicuro su natanti circondati dall'acqua, e, per trainare le

imbarcazioni controcorrente con uomini o animali, sono costretti

a preparare delle "alzaie" lungo i corsi d'acqua o proseguire per

mulattiere fino ad altri fiumi o laghi.

 

Viaggi di questo tipo richiedono decisamente più organizzazione,

competenze, collaborazioni, uomini e animali ma anche manufatti,

imbarcazioni, barcaioli e mulattieri, in compenso raggiungono la

destinazione più veloci, su tragitti più lineari e permettendo a

viaggio il trasporto di quantità di merci di gran lunga superiori

che su tragitti via terra.

 

 

Il primo passo verso la pianificazione e l'organizzazione del

viaggio andrà a creare una spirale indotta di sviluppo evolutivo:

trasporti commerciali più complessi genereranno costi più alti e

questi, a loro volta, si giustificheranno solo con rapidità,

sicurezza e quantità di consegna, fattori che comporteranno una

prima specializzazione del trasporto come "servizio" di terzi a

pagamento ed obbligheranno quindi a perfezionare sia i mezzi di

trasporto che, soprattutto, le vie di comunicazione.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Le "vie" etrusche

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

I veri artefici della commercializzazione dei metalli nell'"Età del

Ferro" italica sono i colonizzatori etruschi, perché l'attività

metallurgica importata con le invasioni di popolazioni indo-

europee non avrebbe mai lasciato il suo carattere locale se non

valorizzata dall'attività commerciale degli Etruschi.

 

Quando raggiungono le coste laziali del Litorale Tirrenico la loro

componente orientale conosce bene il ferro e la sua rivoluzionaria

importanza, inoltre ha esperienza commerciale vinta dai traffici

con Persiani, Siriani, Egizi ed Elleni...

 

 

Il loro commercio non si fermerà al ferro dell'Argentario e

dell'Isola d'Elba, ma includerà anche i prodotti di tutte quelle

attività autoctone dalla manifattura di oggettistica bronzea e

ceramica alla confezione di tessuti e lavorazione del legno, vino e

olio di oliva, trasformandole in vere e proprie "filiere" di un mai

prima concepito mondo "industriale".

 

Ed è da questo loro fiorente commercio che gli Etruschi avvertono

per primi la necessità di vie di comunicazione "sicure", per la

prima volta non create dalla natura ma "costruite" dall'umano per

essere sicure dai danni provocati da pioggia e fiumi in piena,

sicure dagli attacchi di predoni e garantite da mancanza di cibo o

di acqua potabile, affidabili ed organizzate per permettere trasporti

veloci, senza intralci, pericoli o ritardi.

 

 

Gli Etruschi diventano così i primi "costruttori di vie" vere e

proprie, usando le loro avanzate, e all'epoca uniche in Europa,

abilità ingegneristiche nel campo dell'idraulica, con le stesse

tecnologie, tecniche, metodologie e materiali con cui già erigono

quelle città turrite e murate che li rendono famosi tra i popoli

contemporanei:

strade, ponti, gallerie, dighe, porti - un adeguamento attivo delle

caratteristiche morfologiche del territorio per renderlo più

facilmente fruibile.

 

La loro concezione di "via" non è originale, ma piuttosto ereditata

dalle Culture Mesopotamiche, quindi il merito degli Etruschi,

popolazione mista orientale, è di aver importato e introdotto tali

conoscenze ed esperienze nella Penisola Italica e di averle

adattate alla loro nuova terra.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Presumibilmente le prime vie etrusche sono proprio quei

preesistenti "tracciati naturali" di transumanza e mulattiere,

riadattati e solo in parte modificati:

 

- rafforzandone il fondo per renderlo "carrabile", cioè tale da

sostenere il ripetuto passaggio di pesanti carri con ruote ferrate

senza affondarvi

 

- aprendo passaggi e collegamenti artificiali fra un tratto e l'altro,

ad evitare pendenze troppo ripide o rendere permanenti guadi

 

- creando lungo i percorsi una studiata rete di stazioni di sosta

attrezzata e protetta, con zone di bivacco, abbeveratoi e fieno

per gli animali, legna da ardere e cibo fresco locale, in territori

culturalmente diversi né da loro controllati militarmente.

 

 

La rivoluzione della Civiltà Etrusca sul suolo italico è proprio

rendere il commercio - trasporti e scambi di merci - un'attività

continuativa e sistematica su lunghe distanze attraverso territori

stranieri.

 

Una tale attività richiede notevole abilità diplomatica ed

organizzativa a garantire manutenzione, servizio, sosta e

protezione, con strutture adatte e gente addetta, controllanti e

cantonieri, maniscalchi e carpentieri, dormitori, osterie, magazzini,

fienili, recapito di messaggi attraverso corriere, insomma dei veri

ed affidabili punti di accoglienza e supporto alla primaria attività

commerciale.

 

 

Il metodo si evolve col crescere del commercio e i punti di sosta

sugli itinerari diventano via via "colonie", abitati permanenti

minori, murati e difesi, intermedi fra due città, a intervalli

equidistanti corrispondenti allo spostamento giornaliero di una

carovana, con funzioni di appoggio a mercanti e soldati di

presidio di zona, di manutenzione stradale, di fornitura di servizi

di sosta e di viaggio.

 

A poco a poco vi sorgeranno anche punti di mercato, piccoli

empori di prodotti agricoli e manufatti locali, fino a crearvi una

vera e propria "rete amica" di persone e risorse analoga a quella

già esistente e a lungo collaudata delle numerose "colonie

costiere", lungo gli originari itinerari marittimi, il primitivo

"cabotaggio" o meno rischiose rotte di navigazione o

circumnavigazione sotto costa.

 

 

Un sistema di città murate in breve tempo così ricco ed articolato

anche sui propri territori da dover esser standardizzato e gestito

dalle Lucumonie, con così rapidi aumenti demografici nelle prime

colonie da generare una corona di giovani "colonie satellite"

intorno alla "colonia madre", a suo sostegno e difesa.



Un sistema che richiederà sempre nuove strade di collegamenti

circondariali, non più quindi solo itinerari abbastanza rettilinei per

spostamenti di lunga distanza, ma reti viarie locali, secondarie e

spesso a raggiera intorno a un nucleo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Di tutto questo enorme e fantastico sviluppo sono artefici gli

Etruschi in Età Pre-Romana, primi a costruire città murate, primi a

trasformare sentieri naturali in vie costruite, primi a fondare

colonie lungo itinerari commerciali, primi a a dar vita a comunità

multietniche, primi dunque a creare un sistema politico-

economico-sociale fondato sull'integrazione, vale a dire

tolleranza, accettazione e cooperazione.

 

Un sistema esportato progressivamente su territori sempre più

estesi, creando potenza e prosperità etrusca ma anche lavoro,

benessere e sicurezza per la gente del luogo, ripagata con il diritto

di abitare nella cittadina in una comunità ora costituita da coloni

etruschi e nativi, amalgamando cultura etrusca con costumi e

credenze locali.

 

 

Gli Etruschi introducono così nella Penisola anche il modello

stesso della moderna società "cosmopolita", già tipica

dell'Oriente, in un'epoca storica in cui tutti gli altri Popoli Italici

sono ancora monoculturali e tribali, una società la cui legge

regola soltanto quell'etica esteriore necessaria alla civile

convivenza, senza mai invadere o forzare l'etica interiore di valori

e credenze propria dell'identità di ciascun popolo.

 

Un localismo identitario in un clima di cultura integratrice, non

solo una "somma di esperienze" ma una vera interazione di

conoscenze ed abilità diverse capace di stimolare lo sviluppo di

nuove ed originali attività economiche in una comune crescita

tecnologica, producendo una coesione sociale che si consolida e

radica di generazione in generazione.

 

 

Popoli diversi, che convivono uniti da tolleranza e capacità di

adattamento, sviluppano sì comportamenti di ruoli non imposti,

ma rimanendo ciascuno legato a proprie tradizioni e credenze,

non sviluppando quindi un sentimento unitario di identità di

popolo, nel caso degli Etruschi germe di un inevitabile futuro

sfaldamento della loro Civiltà in assenza di un potere di controllo

centrale.

 

 

Diversa la storia della Nazione Romana e successivamente della

sua Religione di Stato, il Cristianesimo, in cui popolazioni vinte e

sottomesse vengono "convertite" all'identità di popolo,

risspettivamente "Cittadino di Roma" e poi "Figlio di Dio", a creare

e sostenere una imposta identità artificiosa, fino al fanatismo

politico e dottrinale, capace tuttavia di fargli superare tutte le

avversità in nome di falsi ideali.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Le caratteristiche delle vie etrusche

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Innanzi tutto il termine "strada" non è propriamente corretto

quando riferito a percorsi carrabili pre-romani, sia quindi i

percorsi naturali preistorici, come i tracciati italici e gli itinerari

etruschi, pur tutti a lunga percorrenza, perché, anche se in Età

Etrusca risultato di concezioni avanzate e precise tecniche,

importate dall'Oriente o originali e inventate.

 

La "razionalizzazione" di antichi sentieri, tratturi e mulattiere non

comporta mai una preparatoria sistemazione del sottofondo viario

in profondità, esclusivo della "strada" romana, appunto da

"strata", plurale di stratum, quindi con la tecnica dello "strato su

strato":

per questo quelle etrusche dovrebbero essere chiamate "vie"

carrarecce, anche se non naturali e "costruite" dall'umano.

 

 

La rete viaria viene improntata dagli Etruschi fin dall'VIII sec aC,

ideata per il raggiungimento sistematico di punti di particolare

rilevanza o sacralità del territorio, "vie sacre", ancora per lo più

sui crinali, e "vie carovaniere", di lungo percorso da un territorio

ad un altro, queste seguendo per lo più vallate ed individuandovi

punti cruciali - guadi affidabili per attraversare fiumi (vedi Roma),

corsi d'acqua navigabili, acrocori difendibili su cui fondare città,

pianure adatte a colture agricole, monti ricchi di minerali -

collegandoli in modo preordinato.

 

La loro idea vincente è quella di suddividere lo spazio - sacro,

urbano e agricolo - e il territorio - a reticolo con percorsi

longitudinali e trasversali tra i monti - mentre la concezione

romana si centra nella città da cui le strade si dirameranno a

raggiera verso circondario, modello anche questo ideato dagli

Etruschi, mai però applicato genericamente, unico esempio la

capitale federativa Volsinii, vicino Viterbo, a sottolineare

simbolicamente la centralità di culto.

 

 

Le "vie" etrusche - viae in Latino, dalla radice indoeuropea *wegh-

e il suffisso -ya, "andare", "trasportare" - sono strutture preparate

e costruite, fatte per resistere al transito di carri a ruote e non più

solo di animali, "selciate" con un tappeto di pietre superficiali,

ciottoli o lastroni, direttamente sulla terra battuta e senza scavo

massicciato, "rinforzate" con muri e terrapieni ad evitare

smottamenti, "completate" laddove necessario attraverso ponti e

gallerie.

 

Così come il percorso costruito etrusco segue il principio del

congiungimento più breve tra un punto e l'altro, a differenza di

quelli naturali, e quello della sostenibile pendenza non superando

mai gli 8 gradi, a differenza delle mulattiere, raddrizza le tortuosità,

a differenza dei tracciati preistorici, senza mai raggiungere però il

perfetto rettilineo romano:

a riprova di queste caratteristiche le famose vie cosiddette "cave",

rupi e colline di tufo "tagliate" in profondità con canaloni dalle

pareti suggestivamente quasi perpendicolari.

 

 

Oltre a frequenti muri a secco di sostegno il pietrame viene usato

per regolarizzare guadi, oltrepassare pantani, rendere meno

sdrucciolevoli le salite, raccogliere, deviare e canalizzare scoli e

derivi di pioggia, e colonnine di pietra delimitano confini di

giurisdizione tra le città (non la distanza come i milliari romani),

segnali già utilizzati nella tradizione etrusca per marcare la

proprietà dei terreni, ritenuti secondo gli insegnamenti di Tagete

così "sacri" da penalizzarne lo spostamento con la morte.

 

Etrusca è anche l'organizzazione del viaggio a "tratte" di percorso

modulari dette "sestum", misurabili appunto in 6 miglia,

corrispondenti a circa 10 chilometri, concepite per adattarsi sia a

spostamenti a piedi a tempo di marcia, con animali al seguito, con

animali da soma carichi o con carri trainati da animali, includendo

nell'intervallo soste di pascolo, dissetamento e riposo per persone

ed animali.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Anche se le vie etrusche rimangono modeste

rispetto a quelle romane, senza le prime le

seconde non sarebbero esistite, come se gli

Etruschi non fossero esistiti neppure Roma lo

sarebbe mai stato.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Le "strade" romane

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il tracciato

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Per i Romani la strada è in primo luogo assoluto uno degli

elementi strategici della loro enorme macchina politico-militare.

 

Alla conquista di un nuovo territorio, costruirvi strade è l'impresa

prioritaria per poterne mantenere e consolidare il controllo, non è

quindi strano che a farlo siano spessissimo i medesimi soldati

che lo hanno sottomesso:

oltre ad armi, cibo e pentolame il legionario porta con sé piccone,

vanga, sega, accetta, falce, paniere - è un vero "soldato-operaio".

 

 

La strada deve rispondere quindi a requisiti, militarmente

parlando, "fondamentali":

facilità e rapidità di percorso, minima necessità di manutenzione,

ampia visuale sul territorio circostante, possibilità di difesa da

attacchi nemici.

 

La caratteristica innovativa più peculiare della strada romana è di

conseguenza il suo tracciato.

 

 

Molte delle vie etrusche assumono significati sacri, di

congiungimento di due luoghi straordinariamente importanti dal

punto di vista del culto, come antichi luoghi vulcanico-termali, e,

nel far questo, si tengono alte, come quelle precedenti ed

antichissime, seguendo per lo più crinali di alture e solo quando i

collegamenti diventano commerciali scendono a valle e

attraversano pianure o seguono fiumi e coste.

 

Le strade romane invece hanno quasi sempre un dominante

carattere funzionale, originariamente militare perché servono a

trasportare le Legioni da Roma a qualsiasi angolo dell'Impero nel

minor tempo possibile e, nel far questo, sfruttano preferibilmente

pianure e vallate e si dirigono come arieti rettilinearmente,

adottando soluzioni dirette di annientamento o superamento degli

ostacoli piuttosto che adattamenti e deviazioni nell'aggirarli - cioè

compensando, scavalcando, forzando, abbattendo o penetrando

qualsiasi tipo di sbarramento naturale.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La pianificazione

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La procedura per la costruzione di una strada romana prevede

innanzitutto il sopralluogo di architetti, poi accurate misurazioni

degli agrimensori, piazzamento di pali da parte dei "gromatici", da

cui la linea del percorso o rigor ed una precisa griglia sul piano

stradale.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

A sinistra, la "groma" dal Greco γνώμων gnṓmōn indicatore, antichissimo strumento di

origine mesopotamica poi importato dai Greci già nel IV sec aC, da questi nei ricchi

scambi commerciali e culturali esportato agli Etruschi, che ne faranno grande uso nelle

loro avanzate opere ingegneristiche e attraverso gli Etruschi il suo utilizzo adottato 

successivamente dai Romani, come moltissimo altro, un'asta verticale conficcata nel

terreno con sulla sommità un braccio di sostegno per due asticciole a croce ortogonale

alle estremità fori a uguale distanza dal centro con appesi fili a piombo, per traguardare

i capisaldi, tutto in legno con dettagli importanti di maggiore o usura di metallo.

 

A destra, l'uso della groma con le paline, preciso strumento dei mensores o gromatici

per tracciare sul territorio allineamenti tra loro ortogonali, come tracciamento di nuove

città, quartieri e strade o per frazionare un terreno in quadrangoli e calcolare superfici,

ottimo esempio i lotti geometrici della χώρα chora o zona agricola Plaine di Stari Grad

o Starogradsko polje in Croato, sull'isola illirica di Hvar/Lesina abitata già dal Neolitico,

vicino alla colonia greco-siracusana di Φάρος' Pharos poi Pharia, patrimonio culturale

oggi protetto dall'UNESCO, una spianata di circa 2 km la più fertile delle isole adriatiche

coltivata da tempi preistorici, la cui superficie di 181 per 905 m o circa 16 ettari dopo la

fondazione della colonia i Greci dividono in 73 lotti rettangolari, alcuni ulteriormente

frazionati in quadrati più piccoli di 181 per 181 m, una lottizzazione fondiaria in gruppi

regolari, confini di muretti a secco, attrezzata con cammini, ripari di pietra, sistema di

raccolta dell'acqua piovana per l'irrigazione che utilizza cisterne e scoli, tutto ancora

intatto, gelosamente conservato per due millenni e mezzo fino ad oggi!

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Nell'immagine sopra a sinistra, l'uso della cosiddetta "groma"

o "gruma", cioè "indicatore", strumento essenziale, in legno e/o

metallo, con quattro fili a piombo e contrappesi regolabili, per

tracciare sul terreno/territorio qualsiasi tipo di allineamento

ortogonale, primi fra tutti frazionamenti catastali reticolari con

relativo calcolo delle superfici.

 

Sia lo strumento che il nome giungono ai Romani attraverso gli

Etruschi, grandissimi agrimensori ed ingegneri, all'epoca unici in

Europa in alcuni ambiti specifici, come soprattutto l'idraulica, per

l'approvvigionamento dell'acqua e il drenaggio delle paludi, ed

inventori della divisione del terreno secondo il loro famosissimo

templum, con gli assi ortogonali del cardo e decumanus, proprio

insieme all'arte del costruire canalizzazioni idriche e strade.

 

 

Nell'immagine sopra a destra, il metodo d'uso della groma per

tracciare linee ed angoli retti sul terreno con l'aiuto di cosiddette

"paline", le quali vengono spostate leggermente a destra o a

sinistra da aiutanti, fino a che il gromatico ne riscontri il perfetto

allineamento.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Lo strategico reticolo stradale, sopra a sinistra, e la suddivisione in e delle "quadre", a

destra, risultato della classica "Centuriazione" romana, da duemila anni costituiscono

un elemento fondamentale nell'organizzazione del territorio agricolo nel Cesenate,

pianura emiliano-romagnola, Terre Centuriate per più di 11 chilometri da Ponte Pietra a

San Giorgio, l'odierna Via Calabria strada rettilinea di circa 11,5 km a rappresentarne

uno dei Kardines Cardini, uno dei principali assi viari.

 

La Limitatio o "Centuriazione" è un frazionamento territoriale e di controllo del deflusso

idrico fine III sec aC nell'area cesenate, area già in un gigantesco triangolo cateti i fiumi

Savio, corso verso Nord, e Rubicone/Pisciatello-Urgon, verso Est, e ipotenusa l'attuale

Via del Confine, all'epoca vero confine fra terra soda coltivabile e terre salse paludose,

un fitto reticolo di strade ortogonali incrociate a delimitare porzioni quadrate di terreno

dette Centuria di heredium o "Quadre" unità di suddivisione poderale da una prima

riforma agraria di epoca romana che da in 2 jugeri di terra a ciascun Cittadino quale

proprietà ereditaria, ogni quadra circa 710 metri di lato o circa 50 ettari, con due

"Cardini" lungo l'asse Sud-Nord e due "Decumani" Est-Ovest, all'interno parallelamente

agli assi ulteriori frazionamenti in intercisivi e rigores, la Centuria in fondi coltivabili

creata per assegnare un lotto ai coloni e ai veterani in congedo come pensione.

 

Gli agrimensori romani tracciano linee rette o "rigores" sul terreno a formare angoli

esattamente retti, i Decumani teoricamente orientati al sole nascente ma nella pratica

raramente, "Decumano verso" spesso la strada principale della regione a determinarne

la direzione, come la Via Emilia romana, i limiti segnati da pietre con divieto per legge a

rimuoverle (legge sacra etrusca!), la griglia della Centuriazione romana contrassegnata

da Decumani e Kardines con "limites intercisivi" a definire 20 file di campi, larghi 35,5 m,

in direzione dei Kardines e ancora "limites intercisivi" interni, paralleli ai Decumani, per

zone a coltivazione ma anche per il pascolo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Nell'immagine sopra a sinistra, il tipico frazionamento chiamato

"Centuriazione", un metodo di razionalizzazione del territorio

adottato dai Romani ad ogni nuova conquista, una limitatio

derivante dall'impianto rettangolare del castrum, l'accampamento

militare, il cui schema razionale ellenistico, proprio della

urbanistica "ippodamea", dell'architetto Ippodamo di Mileto,

subisce in età tardo-regale e repubblicana forti adattamenti

direttamente derivanti dalla "Disciplina Etrusca", come

l'orientamento in armonia con l'ordine cosmico ed i confini sacri

delle mura.

 

La Centuriazione dei terreni è affidata a specialisti, i cosiddetti

"gromatici", e prevede una totale riorganizzazione del territorio,

attraverso bonifiche, canalizzazioni, livellamenti, costruzione di

strade e fossi, prima di tracciare un reticolo ortogonale di limites

di 20 actus di lato, linee funzionali e catastali che conferiscono al

paesaggio un rigoroso ordine geometrico.

 

 

Nell'immagine sopra a destra, nonostante siano due i tipi di

Centuriazione:

 

- la prima secundum caelum, la più caratteristica etrusca, in cui un

sacerdote-aruspice riporta sul terreno l'organizzazione della

volta celeste

 

- la seconda secundum naturam, quella più romana, in cui ci si

adatta alle caratteristiche fisiche del terreno

 

entrambe si basano sul medesimo modello di "Quadra" dal lato di

710 metri, e, partendo dalla Penisola Italica, si diffondono poi in

tutto l'Impero, quale efficiente e standardizzato sistema catastale.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La costruzione

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Finito il lavoro di picchettamento dei "gromatici", entrano in

azione gli aratri dei libratores - manovalanza comune, aiutati in

tempo di pace dagli stessi legionari o, su terre di conquista e di

guerra, addirittura usando come vanghe le loro spade o "daghe"

larghe e corte (40-50 cm) - a scavare una fossa della larghezza

della strada, variabile da quattro a sei metri larga, fino alla roccia o

uno strato sufficientemente duro del terreno, il .

 

Il compito dei libratores è scavare l'intero "tracciato" della strada,

uno scavo che appunto prosegue fino a che non sia stato

raggiunto uno strato sufficientemente solido, il cosiddetto

"cappellaccio" in gergo minerario, cioè la porzione superficiale

di terra mista a roccia, affiorante dalla la massa rocciosa vera

e propria e già in decomposizione da infiltrazioni d'acqua,

normalmente da 60 centimetri a un metro di profondità, ma se

questo non avviene non ci si ferma prima di due metri, almeno

nelle strade pubbliche di lungo percorso, le famose "pretorie" o

"consolari", a seconda che siano costruite da un pretore o da un

console.

 

 

Quindi il riempimento a strati della fossa, quella peculiare

sistemazione preparatoria del sottofondo viario in profondità,

esclusivo della appunto chiamata "strada" romana, da "strata",

plurale di stratum, quindi con la tecnica dello "strato su strato" di

materiali diversi:

 

- in basso il primo strato stabilizzante, lo statumen, un letto di

grosse pietre

 

- poi il rudus, un secondo strato, ben compattato con battipali

di legno fino ad uno spessore di almeno ¾ di piede, pietrisco

misto a malta nella proporzione di 3:1 se il materiale è nuovo,

altrimenti, se già utilizzato in precedenza, di 5:2

 

- quindi il nucleus, un ulteriore terzo strato alto sei dita di ghiaia

ben compattata e malta nella proporzione di 3:1

 

- a finire sopra il pavimentum o summum dorsum, quarto e ultimo

strato, quello superiore di calpestio, in grandi lastre ovvero

pietrame di più piccole dimensioni, allettato a livella e righello e

a volte addirittura levigato.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Della strada romana e della tecnica di costruirla esistono

naturalmente diverse tipologie e varianti:

 

- gli angiportus o angtportus le stradine, viottoli o sentieri,

collegamenti pedonali cioè di corta distanza, porta a porta, per

uso locale privato o di pochi, da un edificio all'altro in un

complesso o più genericamente da un luogo all'altro non lontani

 

- gli itinera ugualmente vie pedonali ma di lunga distanza, cioè

i lunghi sentieri, le mulattiere o comunque percorsi stretti e più

lunghi, non pavimentati e con un fondo di sola terra compattata

dal calpestio nel caso del sentiero o compattati a pietrisco solo

superficiale per rendere la presa meno sdrucciolevole in quello

della mulattiera

 

- gli actus vie locali "carrabili" o "carrarecce", in cui cioè il fondo

rafforzato e la maggiore ampiezza permettono il transito di carri,

con passaggio unidirezionalmente alternativo, un carro alla

volta, come di solito i percorsi di servizio a separare i campi

agricoli

 

- le viae percorsi carrabili ma di lungo tragitto anche se scondarie,

tali da permettere il passaggio di due carri contemporaneamente

in controsenso

 

- le stratae infine le vie più importanti, appunto con sottofondo a

strati e lastricate, in modo da permettere qualsiasi tipo di

transito, anche quello di carri veloci a ruota ferrata, un po' come

le moderne "autostrade".

 

 

Riguardo alla preparazione del fondo stradale l'architetto Vitruvio

raccomanda, ad esempio in caso di non sufficiente solidità del

terreno, di gettare lungo i lati della massicciata muretti cementizi

di contenimento della fossa, come per quanto concerne i quattro

strati "classici" di poter sostuire i primi tre dal basso in alto con 

rispettivamente primo strato di pietre, secondo sassi, terzo breccia

e pietrisco/materiale di escavazione o sabbia, se presente in zona.

 

Ovvio che le estremamente variabili condizioni e caratteristiche

del terreno impongano una serie di altre varianti di fondo, da

"fondazioni" in lastroni di pietra molto più larghi e piatti su terreni

argillosi ad ancoraggi con profondi pali di legno e un vero e

proprio "zatteramento" del percorso in zone paludose, e così via.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Sopra a sinistra, un esempio di tipico "calcestruzzo" con il resistente cemento romano

capace di autorigenerarsi, con una composizione a base di calce viva che gli permette

di "autoripararsi" al formarsi di piccole crepe, un letterale hot mixing incui si aggiunge

alla miscela di calcestruzzo una parte di calce viva, che reagendo con l'acqua riscalda

la miscela generando "grani" di calce i quali permettono l'autoriparazione, una geniale

soluzione oggi scoperta, ricreata, certificata e brevettata in un nuovo calcestruzzo sul

mercato delle costruzioni, più duraturo del 50 per cento, meno costoso sarà del 50 per

cento e più ecologico, in quanto la sua produzione emette una quantità di anidride

carbonica inferiore del 20 per cento.

 

Sopra a destra, un ingegnoso schema di rinforzo travato della "massicciata" stradale in

zone paludose, una vera e propria zattera con assi laterali portanti e travi trasversali

ancorata con navette a croce di appoggio e appuntiti pali verticali da conficcare in

profondità, oggi chiamate fondazioni "a platea", "a piastra" o in gergo "a zattera" a

contrastare cedimenti differenziali, la platea propriamente detta un corpo in cemento

armato la cui prioritaria funzione è quella di scaricare omogeneamente il peso con

un'armatura in acciaio importante, una scelta progettuale molto diffusa negli ultimi

decenni su terreni molto scadenti e compressibili, spesso ottima soluzione anche su

terreni argillosi - niente di nuovo...

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Anche le lavorazioni finali del calpestabile, se non lastricato,

vengono quasi esclusivamente fatte con di versi tipi di

calcestruzzo.

 

Alla fine, usando della brecciolina compattata e cementata, si

ottiene quella superficie regolare, dura, estremamente resistente e

piana, più propriamente all'origine chiamata pavimentum, dal

Latino pavire, cioè "pavimentare", il tipo di copertura usata

appunto già dagli Etruschi e di per sé pienamente utilizzabile

come strada, senza necessariamente coprirla con ulteriori strati -

la cosiddetta summa crusta usata ancora e in abbondanza dai

Romani per i percorsi secondari.

 

 

I Romani riscoprono infatti l'importantissima tecnica del

cosiddetto "calcestruzzo", dal Latino calcis structio o "struttura a

base di calce":

il più antico oggi conosciuto risale infatti a ben 7.000 anni fa,

scoperto nella Galilea meridionale a metà Ottocento, una calce

rudimentale che ingloba pietre levigate.

 

Ma i Romani lo perfezionano a partire dal 300 aC, quando cioè

Appio Claudio Cieco costruisce il primo acquedotto e la Via

Appia, da Roma a Capua, fino ad arrivare alla descrizione chimica

data dall'architetto Vitruvio nel I sec aC di un calcestruzzo

cosiddetto "gagliardo" - calce spenta, pezzame di tufo vulcanico

giallo napoletano e pozzolana flegrea o puteolanus pulvis ovvero,

in sua mancanza, di argilla torrefatta, elementi ad alta reattività tra

di loro capaci di trasformare il materiale legante in una calce

idraulica artificiale, una "malta" così resistente da non temere

neppure l'attacco corrosivo dell'acqua salata del mare.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Sopra la schematica stratigrafia di una strada moderna, non molto diversa da quella di

una strada romana, certo diversa per diverse esigenze e diverse sollecitazioni, oggi un

viaggio di 1000 km a 110 km/h sul basolato non sarebbe il massimo, il moderno asfalto

agevola il rotolamento quasi annullando le sollecitazioni su mezzi, persone e merci,

però è più fragile e il traffico è oggi infinitamente più intenso, più veloce, più pesante,

da cui la maggiore usura, quindi non è possibile paragonare i due tipi di strade di

epoche così lontane, anche se la tecnica è ripresa praticamente identica.

 

Le strade romane che noi vediamo sono "tratti" sopravvissuti, più robusti o meno usati,

magari ricoperti e dimenticati, tutto il resto rovinato, abbandonato, vandalizzato, rubato,

riciclato, modificato, modernizzato, la grande differenza semmai nelle tecniche di

costruzione dell'antichità spesso "per abbondanza" e i materiali allora usati molto più

durevoli, l'ottimizzare i materiali just enough per utilizzo e durata è capacità moderna, le

esigenze di carico del traffico moderno camion da 3,5 tonnellate in su, furgoni fino a 3,5

e automobili da 1 a 2,5, anche se specie in Italia non è raro che le imprese costruttrici

truffino sui materiali con conseguenti sottofondi insufficienti e "risparmiato" spessore

d'asfalto, ma in fondo sarebbe anche un luogo comune pensare che tutte le opere

romane siano per durare "in eterno", di fatto hanno resistito in solo piccolissima parte,

per lo più distrutte meno di un secolo dopo la caduta dell'Impero, e l'approccio romano

alla natura, a differenza dell'ideale etrusco di "armonica e rispettosa convivenza", non

è proprio definibile "ecologico", loro "predatori ad oltranza" di un ambiente "da

sfruttare", primi  sistematici deforestatori dell'intera area mediterranea e non solo...

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Da notare come la tecnica del calcestruzzo subisca un quasi totale

degrado e regresso alla caduta dell'Impero Romano d'Occidente e

durante il Medioevo:

per tornare ai livelli di qualità delle costruzioni imperiali romane

del I sec aC - vedi esempio fra tutti il Pantheon, l'edificio a cupola

più grande del mondo per ben 2.000 anni! - bisognerà attendere il

XVIII e addirittura il XIX sec per testimoniarne un'evoluzione, cioè

il cosiddetto "cemento armato" dei francesi Lombot, Monier e

Coignet...

 

 

La "classica", avanzata strada romana, modello e prototipo di tutte

le nostre strade moderne ad oggi, prevede quindi:

 

- uno fondo o statumen

 

- un primo manto di calcestruzzo grezzo spesso alcuni decimetri,

chiamato rudus o ruderatio

 

- un secondo strato di calcestruzzo fine, il cosiddetto nucleus

 

- a finitura, sopra o dentro il nucleus, le ben note lastre di pietra

del pavimentum, in molti casi ancora visibili oggi, ma non in

perfetto piano, ma "a schiena d'asino", cioè con il centro strada

più alto dei bordi, in modo da non permettere alle acque piovane

di stagnare sulla strada, infiltrandola e danneggandovi gli strati

inferiori, ma farla defluire velocemente in canalizzazioni laterali

aperte per lo scolo nella terra circostante o, se in città, in sistemi

fognari di drenaggio.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Sopra a sinistra, la costruzione di strada romana, metodi di lavoro all'avanguardia e

maestria artigianale per realizzare soluzioni di alta qualità nei tempi previsti, e non tanto

è cambiato da allora, la progettazione fondamentale nell'intero processo, analisi di

geometria e geologia, tracciato o percorso, profilo altimetrico, sezioni trasversali per

drenaggio e stabilità strutturale,in rilevato o in trincea o a mezza costa, fattori geologici,

idrogeologici e idrologici, stratigrafia di superficie resistente all'usura, di base supporto

alla strada distribuendo il carico, sottofondo o base inferiore pietrisco sabbia o ghiaia, 

terreno nativo o strato di fondazione compattato e livellato, fasi di costruzione, di scavo

preparazione di fondo e sottofondo cruciali per stabilità e portanza, superficie stradale a

garantire sicurezza e durabilità assicurando sopportazione di carico e resistenza a

sollecitazioni dovute traffico veicolare attraverso accurata scelta di tecnica e materiali

per una pavimentazione autostabilizzante.

 

Sopra a destra, dopo oltre duemila anni il cemento consumatosi fra le pietre dà una 

l'impressione di superficie disconnessa e scomoda su cui viaggiare, specialmente a

bordo di un carro dalle ruote ferrate in corsa veloce, ma la strada romana è all'origine

quasi completamente liscia, il suo stato odierno testimonia al contrario quanto in effetti

sia resistente a pioggia, gelo e inondazioni e non necessiti di particolare manutenzione

- che ne sarà delle nostre strade fra due millenni?

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La pavimentazione stradale più caratteristica della strada romana

è il cosiddetto "basolato", realizzata cioè con "basoli" o "basole"

- pietre piatte di roccia vulcanica o calcarea o altra pietra dura,

nel caso dei Romani all'epoca più specificamente grosse pietre

irregolari di leucitite, roccia eruttiva formatasi circa 200 mila anni

fa, oggi di solito, ma del tutto erroneamente, chiamata "selce",

lastroni molto pesanti e delle dimensioni di circa 50x50 cm.

 

La messa in opera dei basoli avviene secondo la tecnica detta

dell'opus lastricatum, da cui deriverà quella dei moderni

"sampietrini", i blocchetti piramidali di basalto capovolti dalla

testa calpestabile quadrata con cui, agli inizi del '700, si

pavimenteranno a Roma sia Piazza di Spagna che Piazza San

Pietro.

 

 

Anche se nell'immaginario collettivo la strada romana viene quasi

esclusivamente associata al basolato, di fatto la tecnica

dell'"acciottolato" viene alternativamente preferita e con grande

vantaggio su strade a scorrimento lento, dove devono passare

con frequenza molti carri a ruota ferrata carichi di merci pesanti,

ed in zone periferiche su percorsi secondari e pianeggianti, anche

per motivi di costi, viene spessissimo lasciata una finitura in sola

terra battuta.

 

Queste strade non pavimentate a lastricato sono chiamate

"viae giareae" o "sternendae", se cosparse di ghiaia compattata,

oppure "viae terrenae" se solo sterrate.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Copia della Prima Colonna Miliaria, pietra miliare sulla Via Appia, il numero romano I

nella fascia superiore a indicare la sua distanza di un miglio dal Milliarium Aureum in

Campidoglio a Roma, la "Pietra miliare d'oro", monumento probabilmente di marmo o

bronzo dorato, eretto dall'imperatore Augusto vicino al Tempio di Saturno nel Foro,

ritenendo implicitamente che tutte le strade iniziassero e tutte le distanze nell'Impero

Romano venissero misurate da qui, riportandone elencate tutte le principali città

e le relative distanze, a ribadire fisicamente e simbolicamente la centralità del potere,

da cui la famosa frase "tutte le strade portano a Roma" dei pellegrini medievali, anche

se in effetti partono in senso inverso a segnane le progressive invasioni, conquiste,

distruzioni e occupazioni.

 

La pietra miliare romana come cippo iscritto posto sul ciglio stradale lungo le vie

pubbliche romane, di materiali dal calcare alla trachite al marmo pregiato, con distanza 

indicata in "miglia" o m(ilia) p(assum), migliaia di passi, un sistema standardizzato di

misurazione di cui vengono già documentati i tentativi di introduzione su proposta del

tribuno della plebe Gaio Gracco, poi approvato 123 aC con apposita legge riguardante

le sole "principali arterie" stradali inizialmente misurando però la distanza dalla cerchia

delle Mura serviane di Roma, e l'espressione "pietra miliare" rimane ancora oggi in

senso figurato riferendo ad avvenimenti, opere o personaggi così importanti da essere

considerati cruciali punti di svolta in un collettivo processo storico, scientifico, etnico,

o culturale ma anche individuale.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La misurazione

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Nel 20 aC l'Imperatore Ottaviano Augusto, in qualità di curator

viarum, fa piazzare al centro di Roma, nel Foro Romano fra i

Rostra e il Tempio di Saturno, il cosiddetto Milliarium Aureum o

"Milliario Aureo", la pietra miliare aurea zero, una colonna di

marmo rivestita di bronzo, quale punto di partenza dell'intero

sistema viario romano, con incise a lettere dorate le distanze tra

l'Urbe e le principali città dell'Impero Romano.

 

Alcuni lo confondono con l'Umbilicus Urbis Romae o "Ombelico

della città di Roma", un cono di mattoni equivalente romano degli

omphalos greci, monumento distinto e più antico di secoli, centro

ideale della città nelle vicinanze dell'Arco di Settimio Severo e del

Tempio della Concordia.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Sopra a sinistra, i resti del basamento del Milliarium Aureum nel Foro Romano e, a

destra, una tipica pietra miliare

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Le distanze lungo ciascuna strada vengono poi marcate da una

serie di pietre miliari - imponenti "segnali stradali" a forma di

cippo etrusco o colonna, fino a 2 metri e mezzo di altezza e 2 metri

di circonferenza - solidamente interrate sui cigli a un miglio, pari a

circa 1.480 metri, l'una dall'altra.

 

Vi sono riportanti quanti M(ilia) P(assuum) o "migliaia di passi

romani", separino dall'origine della strada o dalla città più vicina

(normalmente da questa la misurazione delle distanze si irradia

verso tutte le direzioni) insieme ad una "dedica politica" a chi ne

abbia deciso la costruzione o la abbia restaurata (l'importanza

degli antichi miliari rimane nell'espressione odierna che in senso

figurato riferisca ad un "punto di svolta" in un processo storico,

scientifico o culturale ovvero nella vita di un individuo).

 

 

Punti fissi di guardia o castella, di sosta o stationes e ristoro o

mansiones vengono distribuiti lungo ogni strada ad intervalli

regolari, le mansiones gestite dallo Stato per ospitare viaggiatori

muniti di documenti ufficiali, di solito nelle vicinanze di cauponae

o, calando progressivamente di qualità, tabernae, popinae o

gurgustia, rispettivamente osterie di campagna, ristori, trattorie e

bettole, frequentate da soldati e quindi più sicure da attacchi.

 

Queste "aree di servizio" distano circa 12-18 miglia l'una dall'altra

e vengono completate da mutationes, specializzate nel cambio di

cavalli e buoi, un po' come le odierne stazioni di carburante.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La fruizione

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Nella Roma Imperiale la costruzione di strade è responsabilità

governativa centrale, ma la loro manutenzione viene affidata alle

Province, nella persona di speciali funzionari con specifiche

responsabilità.

 

I curatores viarum o "curatori", sono delegati a raccogliere i fondi

necessari attraverso donazioni più o meno libere e tasse, mentre a

censores o "censori" viene conferita autorità sui lavori stradali,

eseguiti dai redemptores o "mancipi", quanto sulla pubblica

morale, a condizione però di finanziare le riparazioni sua pecunia,

cioè con soldi di propria tasca, rifacendosi poi delle spese con

diritti detti vectigal, da vectīgum dal Proto-Indo-Europeo *wektih

ǵom, o "multa per imprudente guida di carro", ma puniti dai

Curatori se eccedono nel riscuotere...

 

 

Il vero "segreto" del finanziamento del sistema viario imperiale

rimane comunque il fatto che, al contrario di quanto i più credano,

il transito sulle strade romane non è affatto gratuito.



In realtà i "pedaggi" abbondano , astutamente ed efficacemente

riscossi proprio nei punti "critici" del percorso, come ad esempio

all'attraversamento obbligato di ponti o quando finalmente si

arriva a destinazione, alle porte delle città - viaggiare è caro, anche

senza benzina, e trasportare merci comporta inoltre - già allora -

pesanti dazi e tassazioni sia di importazione che di esportazione...

 

 

Nella prima Età Imperiale l'intensa urbanizzazione e la sicurezza

delle estremamente sviluppate arterie di traffico danno forte

impulso allo sviluppo e all'espansione del commercio sia terrestre

che marittimo.

 

A Roma e nelle Province esplode il commercio all'ingrosso e al

dettaglio, si moltiplicano depositi, magazzini, botteghe,

corporazioni di artigiani e trasportatori.

 

 

I traffici commerciali raggiungeranno i confini ultimi dell'Impero

ed oltre, fino alle coste del Baltico e dell'Arabia, in India e Cina,

per importare prestigiosi prodotti di lusso e di status sociale, i cui

prezzi astronomici saranno dovuti proprio al costo di per sé già

elevatissimo dei trasporti cui vanno ad aggiungersi le infinite serie

di dazi, pedaggi e diritti portuali lungo cammini e rotte.

 

L'importazione di tutti i prodotti voluttuari, sempre più richiesti

nella Capitale e via via in tutte le altre città dell'Impero, avviene

quindi o attraverso carovaniere via terra o/e il commercio

marittimo.

 

 

In particolare con l'Oriente - India e Penisola Arabica - si creano

matasse di vere "vie" o percorsi specializzati:

della seta, dell'incenso, dei profumi e degli unguenti, di perle e

gemme, di spezie e frutta esotica, carni e pesci rari, legni pregiati

come l'ebano...

 

Almeno fintanto che tali commerci di prodotti di lusso e

superlusso non andranno a provocare quella inevitabile emorragia

di moneta in metallo prezioso con tutte le gravissime

conseguenze nei secoli successivi nei bilancio commerciali.

 

 

Un commercio di tali volumi e a talpunto "allargato" in un

fenomeno di quasi prima "globalizzazione" all'interno dell'Impero

e oltre, colpirà parallelamente la produzione artigianale ed

industriale italica.

 

Un esempio fra tutti, alcuni dei prodotti più esportati alle

popolazioni dell'Impero Romano sono raffinati vasellami da

mensa alla moda - cosiddette "ceramiche sigillate" (oggi diremmo

"servizi da tavola di marca"), dalla tipica verniciatura rossiccia,

decorazioni a rilievo e marchiatura a "sigilli" col nome del

fabbricante (un specie di bollino "Made in Italy" di allora) -

all'inizio medio-orientali presto realizzate quasi esclusivamente

in Italia, centro per eccellenza Arretium già etrusca Aritim Arezzo

(tanto da essere anche chiamate "aretine"), già nel I sec dC

verranno letteralmente messe fuori concorrenza da produzioni

gallica prima e poi africana!

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

C'è rimasto qualcosa di "nuovo" sotto questo

cielo?

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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"Il cammino della cultura - Le vie preistoriche"

 

"Il viaggio - Prima parte

Attraverso il mondo allora conosciuto"

 

"Il viaggio - Seconda parte

'Peregrenor ergo sum' - Vado errando quindi

esisto"

 

"Le autostrade dell'Impero"

 

"La falsa immagine storica data dai nomi

latinizzati dei luoghi"

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

                                   

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