Le elezioni amministrative nel nostro
Comune sono
andate come sono andate e lasciamo volentieri i
commenti a
politologi e dietrologi nostrani di
vocazione.
C'è solo un punto sul quale riteniamo
doveroso
intervenire, ed è quello della tanto discussa
questione eolica
(l'eufemismo di "parco" è una beffa,
suona offensivo alle capacità di
comprendonio di
ogni comune cittadino), questione che, al di là dei
programmi elettorali nei singoli settori di intervento,
ha dato a questa
campagna un peso e un'impronta
del tutto particolari.
Erano decenni che su un tema di interesse
generale
non si vedeva un coinvolgimento così acceso,
perlomeno in una
consistente frangia della
popolazione.
Segno indubbio di accresciuto senso
civico -
sebbene non così capillare e maturo come sarebbe
sperabile - ma
anche della portata della novità in sé,
che trascende di gran lunga
l'ordinaria problematica
amministrativa.
È
successo dunque che l'una
lista ha insistito nel
proporre l'attuazione del Progetto Eolico
presentato
dalla società Etruria Energy, ossia l'installazione di
trenta torri eoliche di circa 130 metri nell'intero
territorio comunale
(26 kmq), mentre la lista
antagonista ha fatto propria la campagna del
comitato "No Eolico", autonomamente costituitosi,
sostenendo la
necessità di rivedere il progetto e
proponendo in alternativa la
realizzazione di un
impianto fotovoltaico a minore impatto ambientale.
La disputa si è infervorata soprattutto
perché il
Consiglio Comunale aveva adottato all'unanimità
una
deliberazione di iniziale adesione alla soluzione
eolica, a patto però
che si rispettasse la distanza di
almeno quattro chilometri dal centro
abitato (il che,
data la limitatezza del territorio, avrebbe reso
veramente esigua e inappetibile l'area utilizzabile).
Tale deliberazione era stata riconfermata
all'unanimità in una seconda Assemblea Consiliare
del febbraio scorso, e
ciononostante il progetto di
Etruria Energy, redatto in palese
difformità dal
vincolo imposto (addirittura sono previste torri a
meno
di un chilometro dall'abitato, che praticamente
ne risulta assediato),
ha avuto le prescritte
approvazioni in sede sia provinciale sia
regionale.
Come mai?, ci si chiede.
Perché, se Giunta e Consiglio ne erano formalmente
all'oscuro,
Etruria Energy rivendica la piena validità
del progetto, sostenendo
che una qualificata
rappresentanza comunale ne era comunque a
conoscenza
ed anzi è stata protagonista attiva del
processo autorizzatorio?
(Capite che vuol dire?, che
qualche autorevole
Amministratore Comunale non solo non avrebbe
rispettato e fatto rispettare il mandato consiliare, ma
addirittura lo
avrebbe deliberatamente prevaricato
stravolgendolo;
il che sarebbe di
una gravità inaudita).
Sull'intera vicenda s'è tenuta a fine
gennaio
un'infocata Assemblea Popolare indetta dallo stesso
Comune
(durante la quale il Sindaco ha
pubblicamente ammesso di non aver mai
promosso
quella preventiva campagna di informazione e
sensibilizzazione
che pure era prevista nella
convenzione tra Comune e società), e alla
vigilia
delle elezioni si è assistito a comizi-conferenze su
eolico e
fonti di energia rinnovabile in genere.
Nel frattempo l'avvocatura di Italia
Nostra ha
presentato un esposto alla Procura della Repubblica
di Viterbo
per individuare eventuali responsabilità
penali, e, insieme con altre
associazioni
ambientaliste, in via amministrativa ha ottenuto dal
competente Assessorato Regionale l'assicurazione
di un riesame
dell'intero procedimento alla luce delle
linee guida che dovranno
informare l'atteso Piano
Energetico Regionale.
Stavano così le cose quando il risultato
elettorale del
6-7 giugno ha riconfermato alla guida del Comune la
stessa maggioranza fautrice dell'eolico.
La quale, è da ritenere, si sentirà ora
legittimata dal
consenso popolare a dare finalmente attuazione al
progetto tanto discusso.
E proprio su questo sentiamo di dover
fare alcune
considerazioni, denunciando subito il penosissimo
disagio di
chi si vede costretto ad intervenire in una
guerra tra poveri, tra "polli di Renzo" che si beccano
in assenza di una regolamentazione della
materia in
un piano regionale o nazionale, se non europeo-
comunitario.
Il piccolo Ente locale, o il singolo
cittadino, è
lasciato sostanzialmente solo di fronte a problemi
più
grandi di lui, che muovono interessi giganteschi
e per i quali non ha
alcuna specifica preparazione e
tutela.
Entrando dunque in argomento, intanto va
detto che
lo scarto di soli 93 voti tra le due liste (876 contro
783)
ripropone l'immagine di un elettorato
sostanzialmente diviso a metà,
specie se in
confronto alla schiacciante maggioranza tra le due
liste
analoghe nelle amministrative di cinque anni fa.
Ciò che dovrebbe suggerire quantomeno
cautela e
rispetto nella "gestione della vittoria" (sono gli stessi
rapporti umani e sociali all'interno di un piccolo
centro ad esigerlo).
In secondo luogo, nelle competizioni elettorali a
livello locale entrano
in ballo com'è noto fattori
complessi:
personalismi, nepotismi,
clientelismi, favoritismi,...
e via con tutti gli "ismi" che poi
significano tutti la
stessa cosa, e cioè interessi strettamente
personali
che prevalgono su quello collettivo, comprese le
spregiudicatezze manipolatorie dei più scaltri che,
per ciò stesso,
certamente non premiano i migliori.
Ciò significa che questo risultato finale è solo in
parte direttamente
riferibile alla questione eolica, per
quanto grande possa essere la sua
portata.
Piuttosto rappresenta una valutazione
complessiva
dell'operato dell'Amministrazione uscente,
oltre che
la sommatoria dell'"indice di gradimento" dei singoli
candidati.
Quanti, tra gli elettori, si saranno recati a votare
essendo
disinformati o del tutto disinteressati alla
storia... "com'è?... dei mulini a vento?".
Perciò la vittoria elettorale - che va
nettamente
riconosciuta e rispettata - certamente non va
interpretata
come un "via libera" puro e semplice
alla realizzazione di un progetto
che - coinvolgendo
l'intero territorio e l'intera popolazione anche per
il
futuro - richiama invece la coscienza di ognuno ad
un approfondimento
delle conoscenze e a
valutazioni quanto più possibile ponderate.
Quand'anche fosse, le idee non sono giuste per il
solo fatto di essere
maggioritarie; né sbagliate solo
perché condivise da un minor numero di
persone.
La loro forza poggia sulla ragione, quel
"ben
dell'intelletto" che appunto distingue l'uomo tra gli
esseri
viventi.
E questo ci porta a insistere su alcuni
punti-chiave
che appunto sull'onestà intellettuale e sulla capacità
di
raziocinio fanno leva.
Riassumendo brutalmente quanto esposto in
precedenti articoli da Paolo De Rocchi in maniera più
che
circostanziata, non si tratta di essere nemici del
progresso.
Sulla necessità della ricerca di fonti
energetiche
alternative all'atomo e al petrolio non c'è mai stata
divergenza di vedute.
Si tratta di valutare quale soluzione può
essere più
adatta alla nostra realtà, e ai dati scientifici raccolti
c'è
poco da girarci intorno:
nell'Alto Lazio non si registrano condizioni di
vento
- per durata e intensità - tali da assicurare una
produzione di
energia elettrica appena
significativa.
Dunque non si contribuirebbe che in
maniera del
tutto insignificante al miglioramento climatico del
pianeta
e al fabbisogno energetico nazionale, mentre
si avrebbe localmente un
impatto paesaggistico e
ambientale sconvolgente, perché in un'area
ristretta
come la nostra, trenta torri eoliche da centotrenta
metri
significano semplicemente imporre al territorio
una inconcepibile "vocazione lunare".
Perché dunque non è stata scartata subito tale
soluzione?
Per un motivo semplicissimo (altro che
fantomatici
posti di lavoro e ricchezza per tutti):
perché per
impiantare tali torri le società versano
nelle casse dei Comuni
considerevoli somme di
denaro, provenienti a loro volta da un giro
economico-finanziario di sovvenzioni pubbliche
talmente appetibili da
attirare in molte parti d'Italia
l'attenzione della mafia.
Si pensi, nel nostro caso, che oltre alla
somma una
tantum di 30.000 euro ad installazione avvenuta, al
comune andrebbero ogni anno 2.000 euro per
megawatt installato, ossia
120.000 euro (2.000 x 60),
più un'altra quota forse ancor più
consistente legata
alla reale produzione di energia, che ovviamente non
è in alcun modo prevedibile e costante (anche per gli
inevitabili
periodi di fermo per malfunzionamenti e
manutenzione) ma che, calcolando
ipotetiche 1.400
ore/anno di producibilità per 60 MW al 2,5% del
valore
dell'energia prodotta al netto dell'IVA,
significa comunque un'entrata
complessiva davvero
straordinaria, di cui il Comune potrebbe disporre
ogni anno per tutta la durata di esercizio delle torri
e utilizzarla
come meglio crede, non essendo tale
introito vincolato ad alcuna
specifica finalità.
L'offerta, capirete, fa gola, perché i
Comuni si
dibattono tra croniche ristrettezze di bilancio, e trarre
qualche vantaggio dall'enorme business che ruota
intorno
all'eolico può tranquillamente assicurare la
programmazione di opere e
servizi ai cittadini.
Ma, ancora una volta, c'è da ragionarci su e
porsi
alcuni interrogativi. Intanto, non si
capisce
l'"incaponimento" sull'eolico e la riluttanza a
prendere in considerazione la soluzione del
fotovoltaico, che troverebbe
tutti d'accordo con
generale soddisfazione, non avendo praticamente
alcun impatto ambientale o quasi.
Non un fotovoltaico accessorio e "di riserva", come
si adombra in
qualche proclama tanto per chiudere il
discorso, ma come scelta
principale e significante,
tra l'altro orientata in un settore delle
energie
alternative suscettibile di interessantissimi sviluppi
tecnologici e commerciali.
Anche per l'installazione degli impianti
fotovoltaici ci
sarebbero dei ritorni economici (sia pure di minore
entità, data la ridotta appetibilità dei cosiddetti
certificati verdi,
ossia delle sovvenzioni pubbliche), e
con estrema facilità se ne
potrebbe proporre
l'adozione ai privati cittadini che già dispongono di
strutture utilizzabili, tipo tetti e terrazze, coperture di
capannoni,
superfici poco sfruttabili per le colture,
ecc.
Lo stesso Comune è proprietario di circa 25 ettari di
terreno, perlopiù
concentrati tra la Valle dell'Omo
Morto e le Piane del Cerbone, che
solitamente
vengono dati in affitto per la semina e che in gran
parte
potrebbero essere destinati proprio
all'installazione di tali impianti.
Impianti che non sarebbero in alcun modo
visibili
(se non andandovi a ficcare il naso, trovandosi nella
zona
delle macchie a sud-est del territorio), e il
giorno in cui si decidesse
di smantellarli basterebbe
estrarre dal terreno i paletti di ancoraggio,
che non
abbisognano di alcuna opera in cemento o
calcestruzzo né di
sconvolgenti movimenti terra per
strade e collegamenti.
Sarà che la differenza con gli impianti
eolici è fin
troppo evidente per sembrare vera, ma cosa costa
studiarne
la concreta fattibilità?
Per tornare invece alla "pioggia d'oro" derivante
dall'eolico, viene
naturale chiedersi:
quanto può durare questa "sussistenza"?
E soprattutto, quali prospettive di
sviluppo può
offrire, una volta che avremo riempito il nostro
fazzoletto
di terra con trenta torri di centotrenta
metri, e magari avremo fatto da
apripista ad altri
Comunelli vicini nelle stesse condizioni?
Perché il problema vero è questo:
il
futuro della nostra terra e dei suoi abitanti.
Un futuro che sempre più riconosciamo
nella
valorizzazione di ciò che abbiamo di più prezioso:
il territorio,
con le sue bellezze paesaggistiche, i
tesori archeologici e
architettonici da inserire in
circuiti turistici integrati, le
produzioni tradizionali
da adattare sapientemente alle moderne dinamiche
economiche.
Una prospettiva difficile, perché tutta
da inventare;
che come tutte le visioni di ampio respiro richiede
intelligenza, fantasia e coraggio, oltre che tempi
mediamente lunghi e
un indispensabile "gioco di
squadra", ma che riteniamo l'unica che possa
restituire senso e dignità alle popolazioni e ad
un'Amministrazione
Locale che, come volgi intorno
lo sguardo, sembra vivacchiare ovunque
nel
controllo del proprio orticello, nella ricerca assillante
del
consenso e dei mezzi per mantenerlo.
È
come se a un figlio si volesse far dimenticare la
perdita della madre
coprendolo di regali.
"Vi daremo lo scuolabus, e la piscina, e
gite, e ricchi
festeggiamenti... - sembra di sentir dire -
Alle torri ci
si farà l'occhio e magari vi sembrerà
anche che
aggiungano al paesaggio un tocco di
modernità...".
Il modello generalmente invidiato è quello di
Montalto di Castro, "risarcito" per la presenza della
Centrale ENEL con un mare di soldi che
non riesce
neppure a spendere.
Ne abbiamo visto uno squallido anticipo
proprio in
questi giorni, con Etruria Energy che sponsorizza
infiorate di San Bernardino e tornei di calcetto!
"Fatti non parole!"
È stato lo
slogan della Lista uscita vincitrice dal
confronto elettorale.
Ossia un attivismo innegabile e senza
dubbio
apprezzabile (che non è da tutti), ma che appunto
sembra dettato
da una tattica di controllo di
gestione, piuttosto che ispirato da
lungimiranza
strategica di promozione.
Di più.
Sembra di vedervi il riflesso di una
imperante
concezione partitica dell'Amministrazione Locale,
l'asservimento di una microcomunità a logiche di
potere che - complice
un sistema elettorale
maggioritario che non sapremmo dire quanto adatto
ai piccoli centri - in nome di una presunta efficienza
esaspera quei
rapporti umani che da sempre
costituiscono il vero tessuto
socio-culturale delle
piccole comunità.
Dilemma antico e domanda retorica: il
paese come
terra di conquista di "scuderie" e dottrine partigiane,
o una
comunità civile ricca di potenzialità, che
"viene prima" e sa crearsi
gli strumenti adatti di
autogoverno?
Così che la ricerca del bene comune con
l'apporto di
tutti, che dovrebbe costituire imperativo morale per
le
istituzioni per prime, diventa una poesiola per
bambini.
Non è anche da qui che deriva quella
disaffezione
alla "politica" da tutti lamentata?
Ossia quel fastidio verso una forma
degenerata della
cultura della "polis", che da indispensabile
strumento
di costruzione della convivenza civile
imperversa ora come criterio
unico di
discriminazione su ogni aspetto della vita dei
consociati?
Ecco, se queste sono le tanto vituperate
"parole"
contrapposte ai "fatti", noi crediamo ancora nelle
"parole".
Che in realtà non escludono i "fatti", ma
li
finalizzano ad una superiore concezione di
progresso.
Fior di economisti parlano di "felicità sostenibile",
ossia della
necessità di combattere crisi economica e
inquinamento globale con
strategie che guardano al
profitto ma anche all'ambiente.
Una condizione "nella quale il
progresso si misura
non quantitativamente ma qualitativamente...
Ciò che cresce non è la quantità di beni,
ma la
capacità di goderne;
non l'avere, ma l'essere;
una dimensione non fisica, ma
propriamente
culturale, che non incide sugli equilibri
ecologici".
Ma se non saremo in grado neppure di
riconoscere e
salvaguardare i nostri "talenti", da quali balocchi
potremo mai aspettarci di sentirci a posto con la
coscienza, una volta
che avremo svenduto la nostra
terra a quello che in Germania - la
nordica Germania,
che nelle torri eoliche ha battuto la testa da un
pezzo
- chiamano "il delirio dei mulini a
vento"?
La posta in gioco è troppo alta.
Non si tratta di giudicare una qualsiasi
opera
pubblica:
una strada, la pavimentazione di una piazza, una
fontana...
Qui si tratta di ipotecare lo sviluppo
dell'intero
territorio, e non ci si può fidare nemmeno della
atavica "saggezza contadina" collettiva, ammesso
che nelle ultime generazioni ce
ne sia rimasta
qualche briciola.
Del resto era anch'essa talmente
deformata da secoli
di subalternità da diventare furbizia bertoldesca,
cinismo, capacità di arrangiarsi pensando al
"particulare", piuttosto
che all'interesse generale.
Non ci si dovrà inchinare alla volontà
popolare,
come si dice, solo perché maggioritaria.
Né subirla passivamente.
Ma contrastarla.
Con dolore e sgomento, ma con ogni mezzo
lecito.
Segretamente sperando che il risveglio
della ragione
- quando sarà - non ci restituisca una terra, la nostra,
irriconoscibile.
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