A voce spiego che l'eolico "pesante", con grandi e
numerosi piloni
concentrati in aree vergini del
territorio, è assolutamente non
ecologico perché
rovina il paesaggio e richiede una serie di strutture
di appoggio che fanno degradare le aree prescelte.
Sento però la necessità di precisare - a questo punto
- quali sono i
modi ed i luoghi idonei per l'utilizzo
dell'eolico.
Tanto per cominciare è necessario smetterla con la
produzione elettrica
superflua, bisogna decentrare e
non fare grossi impianti, inoltre
bisogna mettere i
piloni eolici nei pressi delle aree industriali dove
occorre l'approvvigionamento energetico.
È ridicolo creare dei grandi parchi
eolici in zone
verdi per poi convogliare l'energia così prodotta,
tramite centraline ed elettrodotti, alle fabbriche.
Questo è un sistema assurdo che comporta
una
grande dispersione di elettricità.
Per non rovinare le aree di pregio
ambientale è
meglio istallare i piloni lungo le autostrade, ad
esempio,
od in altri ambiti già dedicati a strutture di
servizio, in cui
l'impatto visivo non è fastidioso.
La cosa più importante è comunque spingere per la
produzione energetica
locale, da fonti rinnovabili,
evitando la produzione energetica
concentrata.
Consideriamo poi l'alternativa della
produzione
elettrica con impianti di biogas, recuperando così i
liquami
delle metropoli, le deiezioni degli
allevamenti, gli scarti organici,
etc.
Se Roma usasse i suoi rifiuti organici per la
produzione elettrica
questa basterebbe a far
funzionare l'intera città.
Il problema di dover mantenere le centrali di
Civitavecchia e Montalto
di Castro scomparirebbe
d'incanto.
Attualmente a Torre Valdaliga nord (Civitavecchia) è
stata fatta la
riconversione di una parte della centrale
al cosiddetto "carbone
pulito".
Questo secondo alcuni amministratori è un passo
necessario per
l'abbassamento del tasso
d'inquinamento ma i fatti stanno clamorosamente
smentendo questa diceria ed oggi c'è una forte
protesta sul territorio
per via delle ricadute
ambientali, sulla salute, sull'agricoltura, etc.
E qui debbo dire che capisco perfettamente i
comitati spontanei che si
oppongono al carbone,
infatti le popolazioni si vedono inquinare (senza
vantaggi di ritorno) per scelte non loro.
Capirei allo stesso modo le proteste degli abitanti
dell'arco alpino che
vivono a ridosso delle centrali
nucleari Francesi.
"Ma per qualsiasi soluzione energetica
- così si
lamentano i
furbi amministratori - c'è sempre
qualcuno che protesta, sia che si
tratti di nucleare,
carbone, eolico, etc."
In realtà è proprio nel dimensionamento degli
impianti che sorgono i
problemi, è nella grandezza
delle centrali e nella concentrazione
produttiva che
si crea inquinamento su un territorio.
Da qui si arguisce che occorre tornare alla
produzione energetica
parcellizzata, utilizzando le
varie fonti presenti localmente, per
soddisfare le
esigenze di ogni singolo Comune, Provincia o
Regione.
Non servono, e sono nocivi, grossi impianti come
Civitavecchia e
Montalto di Castro, che assieme
fanno il polo energetico più grande
d'Europa.
Ma le "grandi opere" piacciono sia ai politicanti che
agli imprenditori
(talvolta di malaffare).
Vorrei continuare questo discorso riprendendo
l'analisi del percorso
della produzione energetica in
Italia, che già feci in passato.
Noi compriamo energia elettrica dalla Francia ma le
loro centrali sono
ai confini con l'Italia (che è un
paese denuclearizzato).
Queste incongruenze della povera Italia hanno una
storia lunga dietro….
La storia inizia con il "boom" economico del
dopoguerra, con la
creazione dell'ENI e con la
scomparsa (uccisione?) di Mattei il suo
Presidente
battagliero che si era messo in testa di rendere il
nostro
paese "autonomo" dal punto di vista
energetico.
L'autonomia dello Stivale non è mai piaciuta alle
Grandi Potenze,
l'Italia poteva anche sviluppare una
sua economia industriale purché
restasse succube e
ricattabile.
Vedi ad esempio, una cosa che può sembrare
banale, la sostituzione della
canapa (che per legge fu
proibita in seguito al trattato di pace con gli
USA)
per poter introdurre il nylon e le fibre sintetiche.
Ma andiamo per ordine.
Il nostro Paese sino alla fine degli agli anni
'50 ed in
parte '60 del
secolo scorso ricavava la massima parte
di energia elettrica per mezzo
di centraline
idroelettriche poste lungo i fiumi che scorrono nel
mezzo
di tutte le città italiane (infatti le città una
volta nascevano proprio
lungo i fiumi per ovvia
ragione approvvigionativa).
Ricordo ad esempio che quando abitavo a Verona
andavo spesso a
passeggiare in periferia e sulla diga
che sbarrava l'Adige e da cui si
ricavava l'energia per
tutta la città.
Sino ad un certo punto questa produzione
energetica localizzata
funzionò, il problema di
ampliarne la quantità venne solo con l'avvento
del
modello consumista, per produrre utensileria
perlopiù di plastica,
quali:
suppellettili, mobili, giocattoli, stoviglie, etc.
Da quel momento l'Italia si piegò al sistema della
produzione elettrica
concentrandola in grossi
impianti che funzionavano (e funzionano) ad
olio
combustibile.
Sappiamo quali erano gli interessi delle case
produttrici del petrolio e
così andò a finire che
diventammo sempre più schiavi di scelte
economico-
politiche "atlantiche" che non erano per nulla negli
interessi
nazionali.
Poi ci provammo con il nucleare, anche questo non
per nostro interesse,
ma fu abbandonato in seguito
ad un referendum nazionale.
Ci abbiamo infine riprovato con il metano ma anche
questo (lungi dalla
ricerca di fonti nostrane) arriva da
paesi che possono chiuderci i
rubinetti - Russia ed
Algeria - anche perché le condotte italiane sono
"terminali" ovvero non "transitano" sul nostro
territorio nazionale ma
finiscono qui…
Torniamo ora a parlare di come si potrebbe risolvere
il problema
energetico nella penisola.
Dicono che il "carbone" sia meno inquinante del
petrolio ma anch'esso
viene importato come il
metano, il petrolio e come lo sarebbe l'uranio,
se si
volesse tornare al nucleare.
Di cosa è ricca l'Italia?
Per antonomasia canora si dice "chisto è
'o paese do
sole..." quindi si
potrebbe ricorrere al solare, ma
attualmente i pannelli solari anch'essi
inquinano,
soprattutto nella fase produttiva del silicio
necessario al
loro funzionamento, occorre perciò
sviluppare la sperimentazione e la
ricerca sui
pannelli solari per allungarne la capacità di raccolta
e la
durata (che oggi arriva a circa vent'anni).
Ciò non sarebbe però sufficiente - nell'immediato -
per soddisfare le
esigenze della grande industria del
futile.
Si potrebbero allora realizzare impianti ad idrogeno,
in effetti i
motori ad idrogeno esistono da anni (basti
pensare ai razzi che vanno a
questo propellente) e
tra l'altro la scissione dell'acqua in idrogeno ed
ossigeno sarebbe facilmente ottenuta con pannelli
solari, ma l'idrogeno
non piace ai potentati
economici che campano sul petrolio.
Si potrebbe ricorrere all'eolico diffuso, come sopra
spiegato, oppure
alla geotermia e persino ai
famigerati "termovalorizzatori" ma anche
questi
inquinano (la cosa da ridere è che inviamo la plastica
differenziata delle nostre immondizie in Germania,
pagando per lo
smaltimento, e poi la Germania con
essa ci produce corrente elettrica
che rivende
all'Italia…e noi paghiamo 2 volte…).
Resta la soluzione più logica ed economica, oltre al
piccolo eolico ed
al solare ove possibile, e cioè la
riconversione dei rifiuti organici e
dei liquami in
biogas, un ciclo concluso.
Ad esempio in molti paesi dell'Asia nei villaggi si
produce elettricità
dal gas ottenuto con la cacca
degli umani e degli animali.
Insomma tutte queste opzioni potrebbero andar
bene… l'importante - per
ora - sarebbe diversificare
al massimo e cercare di rendere la
produzione
energetica il più possibile "autonoma" e quindi non
soggetta
a ricatti esterni.
Ma per far questo serve una chiara volontà e
coraggio politico e
soprattutto un reale
decentramento produttivo.
In conclusione:
riempire la Tuscia di nuovi impianti, che siano essi
sostenibili od insostenibili, risulterebbe in un suo
ulteriore
asservimento alle esigenze metropolitane,
che prevedono l'impoverimento
e la distruzione del
territorio per consentire il mantenimento della
pigrizia amministrativa e della cecità ecologica.
La Tuscia non può continuare ad essere la
pattumiera di Roma e luogo
d'ubicazione per
scomodi servizi.
Paolo D'Arpini
Presidente del Circolo vegetariano VV.TT.
01030 Calcata (VT)
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