Montefiascone, Viterbo

domenica 26 luglio 2009

   

 

                                   

 

                                   

 

 

 

Montefiascone -

Est Film Festival:

"Come un uomo sulla

terra", il documentario-

denuncia proiettato alla

Rocca dei Papi porta

alla luce una vergognosa

realtà sull'emigrazione

 

                                   

 

                                   

 

 

 

di Iris Novello

   

 

                                   

 

                                   

 

                                   

 

                                   

 

 

Un momento del dibattito seguito alla proiezione del documentario-

denuncia

(Foto © Iris Novello)

   

 

                                   

 

                                   

 

                                   

 

 

"Come un uomo sulla terra" si intitola il

primo documentario proiettato oggi alle

17.30 nella Sala Innocenzo III della

Rocca dei Papi.

 

 

Tutto il dramma a cui sono sottoposti

gli emigranti che dall'Africa cercano

una via di fuga è descritto in una

pellicola della durata di 60 minuti,

attraverso le testimonianze dirette di

alcuni giovani somali ed etiopi

scampati alle persecuzioni libiche e

non solo.

 

Dagnawil Yimer, che insieme ad Andrea

Segre ha curato la regia, è uno di

questi.

   

 

                                   

 

                             

 

                                   

 

                         

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Il documentario-denuncia scopre una realtà tenuta

volutamente nascosta dai Governi e da una gran

fetta di stampa assoggettata a poteri di vario tipo.

 

 

"Ad intraprendere il viaggio, costato 250 dollari e

durato 14 giorni, eravamo 110 in un camion, stipati

peggio delle galline, si soffocava per la elevata

temperatura ed umidità emanata dai nostri corpi,

alcuni morivano e venivano scaricati lungo il

percorso, altri, i più resistenti, svenivano.

 

Gli autisti abusavano delle donne e nessuno poteva

fiatare o ribellarsi, pena l'uccisione o l'abbandono in

mezzo al deserto."

 

 

Parole che tagliano più di un coltello quelle

pronunciate da un ragazzo dalla pelle scura e dagli

occhi così grandi che occupano un quarto dello

schermo e nei quali si legge una sofferenza che non

potrà mai più in alcun modo essere lenita.

 

"Si parte pensando che non ci sia niente di peggio

di quello che si subisce nel paese natale, ma ci si

sbaglia quando si inizia il viaggio e quando, ancor

peggio, si arriva in Libia".

 

 

Yimar, studente di giurisprudenza ha lasciato il suo

Paese per cercare una prospettiva di vita diversa e si

è trovato davanti ad un muro di gomma, di fronte al

quale nessuno si assume le proprie responsabilità e

tutti fanno finta di non vedere ciò che realmente

succede intorno a loro.

 

"In Libia ci si può fermare solo 6 giorni, il tempo

necessario per recuperare i soldi che servono ad

attraversare il Mediterraneo - racconta Yimar - e se i

soldi da parenti o amici tardano ad arrivare non ci si

può nemmeno fermare a dormire un giorno in più da

qualche persona consigliata perché i vicini di casa

denunciano alla polizia libica la presenza di

estranei".

 

 

Qui comincia la vera odissea per gli emigranti. 

 

"Mi hanno arrestato a Bengasi e senza nemmeno

chiedermi il nome mi hanno portato in carcere - dice

un ragazzo eritreano - lì ho subito di tutto, botte,

sporcizia, privazioni di cibo e di acqua (ne era

concessa un litro a testa ogni 24 ore e con questa

dovevamo bere e lavarci).

 

 

Ci hanno strappato la croce dal collo e l'hanno

gettata a terra deridendo la nostra religione e poi ci

hanno caricato su altri container piccoli o grandi

sempre strapieni (mezzi messi a disposizione dal

governo italiano) per viaggi infiniti in cerca di posti

disponibili in altre prigioni.

 

Ad Al Khufra le donne venivano isolate e stuprate."

 

"È normale, ci passerete tutte di qua, ci dicevano le

guardie - racconta una giovane donna mentre mostra

dei lividi alle braccia - ci tenevano legate per giorni e

la sporcizia infettava le nostre piaghe".

 

 

L'accordo siglato tra Italia e Libia prevede un giro di

5 miliardi di dollari per 20 anni, aiuti per contrastare

l'immigrazione clandestina in cambio di maggiori

forniture di petrolio.

 

Esseri umani utilizzati come merce di scambio.

 

 

Ad Al Khufra vengono condotti i deportati per essere

poi venduti alla Polizia libica per 30 denari.

 

"Mi hanno preso 7 volte, - testimonia una giovane

somala - mi hanno incarcerata e venduta,

rincarcerata e rivenduta per 7 volte".

 

Un gioco strano che si ripete tra poliziotti e

trafficanti di immigrati e che non si riesce a capire.

 

 

"Ad Al Khufra ci sono 700 persone in una unica

prigione - denuncia uno scampato - ci dicono di non

pensare a quando si potrà uscire, ci ripetono:

mangia, bevi e dormi, il resto per te non conta".

 

Quando Dagnawil Yimer è arrivato in Italia ha

frequentato un corso di video partecipato all'interno

del "Progetto della memoria migrante", questo

documentario è il suo primo lavoro.

 

 

"Volevo poter dimenticare, invece devo raccontare, è

un dovere al quale non mi posso sottrarre - ha

spiegato Yimer alla fine della proiezione.

 

"Una volta ho assistito ad una scena che mi ha fatto

odiare la specie felina:

ho visto una gatta che mangiava i suoi cuccioli più

deboli e salvava quelli più forti.

 

 

Questo stanno facendo da parecchi anni l'Italia e la

Libia.

 

Quello che riesce a passare è il più forte, gli altri

rimangono in Libia e soccombono."

 

 

"Questo film è diventato il ponte tra le associazioni

ed il pubblico, non c'è altro modo di conoscere la

verità - ha aggiunto Riccardo Noury, Direttore

dell'Ufficio Comunicazione di Amnesty International

Italia - ma quello che manca è il ponte fra le

istituzioni.

 

Grazie agli accordi passati e recenti oggi l'Italia

respinge gli emigranti che vengono riportati in quelle

prigioni.

 

 

Per 10 anni i governi di diverso colore hanno

negoziato forniture di mezzi navali e terrestri,

forniture di sacchi per impacchettare i cadaveri in

cambio di gas per far funzionare i nostri

condizionatori.

 

La Libia è diventata un partner strategico per l'Italia -

ha concluso Noury - e noi ci siamo dimenticati degli

aspetti umani delle persone costrette a tutto ciò che

stanno subendo".

 

 

"Spero che il mio documentario venga proiettato in

Etiopia per far capire a tutti quelli che hanno

intenzione di andarsene che cosa dovranno

affrontare durante il viaggio e quello che gli aspetta

in Libia, con la complicità dell'Europa e dell'Italia in

primis - ha detto Dagnawil Yimer alla chiusura al

dibattito:

faccio questo per avere la mia dignità di uomo".

 

Secondo le Autorità libiche tra il 2006 e il 2007 sono

transitati nel paese 95.370 immigrati.

 

 

Nessuno di loro voleva uscire dal proprio Paese,

lasciare tutto ciò che si era costruito in una vita,

fossero anche solo gli affetti.

 

Ed invece si sono messi in viaggio senza conoscere

in anticipo quello a cui andavano incontro.

 

Molti sono morti, altri sono ancora imprigionati in

carceri dove ai diritti umani è vietato l'ingresso e

alcuni, pochi, ce l'hanno fatta, ma solo a metà,

perché sempre stranieri si sentiranno in una Paese

che non vuole vedere.

 

 

Morti, vittime ed emarginati comunque sono tutti

figli di una gatta troppo ingorda e crudele che

sceglie chi risparmiare e chi divorare.

 

Un imbarazzo e una vergogna di cui dobbiamo

seriamente farci carico.